Cancel culture, Jennifer Aniston è stanca: “Non sono tutti Weinstein!”

Jennifer Aniston tira in ballo il produttore Harvey Weinstein, per affrontare il tema della cancel culture e del politicamente corretto

Il MeToo ha certamente risvegliato un gran numero di coscienze, precedentemente assopite e fin troppo inclini ad accettare alcune dinamiche semplicemente atroci, perpetrate per decenni all’interno del controverso mondo dello spettacolo.

Jennifer Aniston – Notizie.top

Il bersaglio numero uno, per ovvi motivi, è stato il celebre produttore Harvey Weinstein, che recentemente Jennifer Aniston ha citato nel corso di una disamina polemica, diretta al politicamente corretto, che secondo la celebre interprete, sarebbe ormai definitivamente dilagato tra le maglie dell’industria dell’audiovisivo.

La Aniston contro la cancel culture

L’attrice parte negando le dichiarazioni di Weinstein, in cui il produttore affermava di non aver mai incrociato in particolari occasioni la splendida attrice. La Aniston ha dichiarato al Wall Street Journal: “Ricordo che in realtà è venuto a trovarmi durante le riprese di un film per propormi un altro film – ha detto Aniston a Wall Street Journal Magazine – e ricordo consapevolmente di aver avuto una persona nella mia roulotte”. Nonostante i confini a dir poco opachi di questa vicenda, la popolare interpretate di Friends ci ha tenuto a diffondere un messaggio di disapprovazione nei confronti della cancel culture, che, nonostante l’evidente distanza da mantenere nei confronti di gesti di tale pochezza umana, risulta alle volte mal indirizzata e fuori luogo.

L’arresto di Harvey Weinstein – Notizie.top

E’ proprio la Aniston, infatti, a mettere i puntini sulle i, per evitare fraintendimenti e tentare di squarciare il robusto velo dell’ipocrisia che ricopre l’industria: “Sono stufa della cancel culture. Probabilmente verrò criticata quando lo dirò ma non capisco cosa significhi. Non c’è redenzione? Non lo so ma non metto tutti nel paniere di Harvey Weinstein”. Una precisazione tanto banale, quanto in parte doverosa. In particolare all’interno di una contemporaneità in cui appare complicato ricoprire un ruolo di potere nell’industria dell’audiovisivo, senza attraversare gogne mediatiche o, banalmente, senza subire il pregiudizio dei media e del grande pubblico.